Il caso preso in esame dalla Suprema Corte concerne l'infortunio subito da una donna che, nel percorrere il vialetto di un cimitero comunale, cade in conseguenza di un avvallamento, riportando diverse fratture.
Agendo dunque per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenze della caduta, la signora cita in giudizio l'amministrazione comunale (preposta alla custodia della strada), dalla quale però si sente rispondere che l'anomalia del fondo stradale era facilmente percebile – tenuto conto della circostanza che aveva una dimensione di due metri di lunghezza e venti centrimetri di profondità – e che l'evento si è verificato esclusivamente a causa della condota negligente, distratta, imperita, imprudente della vittima, così che nessuna colpa può attribuirsi al comune. La tesi della condotta colposa della vittima viene accolta nei primi due gradi di giudizio, così che la signora, per ottenere un congruo risarcimento, propone ricorso per Cassazione.
Sono infatti del tutto consuete le difese di stile, proposte dalle pubbliche amministrazioni o dalle assicurazioni convenute, che resistono alle domande risarcitorie di chi subisce un danno alla propria auto a causa di una buca nel manto stradale o di chi, per una sconnessione del marciapiede, inciampa e si ferisce. Spesso, la strategia difensiva consiste nell'attribuire la colpa nella verificazione del sinistro al danneggiato stesso, assumendo che quest'ultimo non abbia prestato la dovuta diligenza ed attenzione mentre percorreva la strada.
Nell'ipotesi di danno da insidia stradale, la valutazione del comportamento del danneggiato è in effetti di imprescindibile rilevanza, potendo tale comportamento, se ritenuto colposo, escludere del tutto la responsabilità dell'ente pubblico preposto alla custodia e manutenzione della strada, o quantomeno fondare un concorso di colpa del danneggiato stesso valutabile ex art. 1227, primo comma, Cod. Civ.
E dunque, se in generale si può riconoscere – con i dovuti limiti – una qualche rilevanza al cosiddetto principio di autoresponsabilità, in forza del quale chiunque cammini per strada deve prestare la dovuta attenzione e cautela, altrettanta rilevanza va però riconosciuta anche al principio di affidamento che l'utente della strada ripone sulla sicurezza della stessa.
D'altra parte – e qui sembra essere il punto – il contesto o lo stato dei luoghi non può far presumere il comportamento colposo del danneggiato, là dove tale contesto (per le sue caratteristiche) avrebbe dovuto indurre maggiori cautele ed attenzioni da parte dell'utente bensì, in maniera esattamente contraria, è proprio il contesto a far presumere la sussistenza del nesso di causa tra la cosa in custodia ed il danno subito.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso della signora proprio sotto questo punto di vista, precisando che la condotta distratta o imprudente del danneggiato non basta di per sé ad escludere la risarcibilità del danno; quando viene eccepita la colpa della vittima, questa esige infatti un duplice accertamento: a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; b) che tale condotta non sia prevedibile e prevenibile. La condotta può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata. Stabilire la qualità di detta condotta è un giudizio di fatto, e come tale riservato al giudice di merito, ma il giudice di merito non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima.
La Corte statuisce infatti che, nel caso della signora infortunata, non può evidentemente sostenersi che la caduta sia imprevedibile (rientrando nel notorio che la buca possa determinare la caduta del passante) e imprevenibile (sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere la buca o, almeno, di segnalarla adeguatamente).
Deve allora ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo ad interrompere il nesso causale, che è manifestamente insisto nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla prevedibile e prevenibile interazione fra la condizione pericolosa della cosa e la condotta del passante.
In conclusione, si può allora affermare che, nel caso di caduta di pedone in una buca stradale, non risulta escluso ogni risarcimento a fronte del mero accertamento di una condotta colposa da parte della vittima; tale condotta, per interrompere il nesso causale, dovrà anche presentare caratteri di imprevedilità ed eccezionalità che - a onere del custode - devono necessariamente essere dimostrati.
Seguendo queste argomentazioni, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso della signora, cassa la sentenza di secondo grado e rinvia alla Corte d'Appello competente, che dovrà decidere attendendosi ai principi di diritto enunciati dalla Corte.