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La responsabilità del datore di lavoro per il contagio da Covid-19 del dipendente o del cliente della propria attività. Quando sussiste?
La responsabilità del datore di lavoro per il contagio da Covid-19 del dipendente o del cliente della propria attività. Quando sussiste?

Il presente articolo prende spunto dalla circolare n. 22 del 20 maggio 2020, ove l'Inail è intervenuto sul tema delle responsabilità datoriali da contagio Covid-19 nei luoghi di lavoro ex art. 42 del D. L. 18/2020 (c.d. "decreto Cura Italia").

Con la riapertura graduale delle attività, il timore principale degli imprenditori era quello delle possibili responsabilità giuridiche in capo al datore di lavoro con riferimento a tutte le posizioni di garanzia presenti in azienda (ai sensi del d.lgs. 81/2008), nel caso in cui un lavoratore od un cliente dovessero risultare positivo al Covid-19.

Dubbi e perplessità sorgevano in particolare dalla precedente circolare esplicativa n. 13 del 3 aprile 2020, nella quale l'Istituto ha inquadrato l'infezione da Covid-19 contratta durante lo svolgimento dell'attività lavorativa all'interno della disciplina degli infortuni sul lavoro, senza però chiarire le implicazioni giuridiche di tale qualificazione rispetto alla posizione di garanzia circa la salute e la sicurezza dei dipendenti rivestita dal datore di lavoro. 

Com'è noto infatti, il datore di lavoro risponde della mancata osservanza delle norme a tutela dell'integrità fisica dei prestatori di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia che discende, in primo luogo, dall'art. 2087 c.c.

A fronte delle numerose proteste sollevate dal mondo degli imprenditori, che temeva di doversi assumere oneri, costi e responsabilità (anche penali) nel caso in cui un dipendente fosse risultato positivo al covid-19, l'Inail ha ritenuto di dover precisare, con comunicato del 15 maggio scorso, l'irrilevanza del riconoscimento della malattia professionale ai fini dell'accertamento di eventuali responsabilità civile e penale dei datori di lavoro. 

Tale comunicazione è stata poi seguita dalla recentissima circolare n. 22/2020, nella quale si è affrontato più dettagliatamente l'ambito della tutela infortunistica nel caso in cui il dipendente contragga il virus nello svolgimento dell'attività lavorativa.

In quest'ultima circolare si conferma la qualificabilità dell'infezione da Covid-19 come infortunio sul lavoro, ma tale riconoscimento è comunque subordinato alla dimostrazione, anche per presunzione semplice, che l'evento infettante si sia verificato durante lo svolgimento dell'attività lavorativa dovendo comunque ricorrere, in tal senso, indizi gravi, precisi e concordanti (ferma restando, la possibilità di prova contraria).

L'elemento di interesse per il datore di lavoro, tuttavia, sta nel fatto che il riconoscimento dell'origine professionale del contagio costituisce «giudizio di ragionevole probabilità ed è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio».

Pertanto, qualora fossero integrati tutti i presupposti di accesso alle prestazioni assicurative dell'Inail, questi non potrebbero pertanto condurre ad un'automatica responsabilità civile e penale dell datore di lavoro, così come avviene del resto in qualsiasi altra ipotesi di infortunio o malattia professionale.

Eventuali profili di responsabilità del datore di lavoro dovranno essere dimostrati dal dipendente che ha contratto il virus. Soddisfare tale onere della prova appare tuttavia particolarmente difficile, dal momento che quest'ultimo dovrà riuscire a provare l'esistenza del nesso eziologico tra l'evento-malattia e condotta non regolare, nonché l'imputabilità, a titolo di dolo o colpa, al datore di lavoro del danno alla salute lamentato.

In sede penale, tuttavia, la molteplicità delle modalità e delle occasioni di contagio e la estrema volatilità del virus rendono in ogni caso assai arduo assolvere l'onere probatorio che grava in capo al Pubblico Ministero (derivante dal principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza ex art. 27 Cost) che consiste nel verificare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il contagio è avvenuto all'interno del luogo di lavoro e che questo è causa di un comportamento omissivo, colposo o doloso, del datore di lavoro.

Similmente, in sede civile, la responsabilità del datore di lavoro richiede quantomeno che venga accertato un suo comportamento colposo nella determinazione dell'evento, come statuito dal recente e consolidato orientamento della Corte di Cassazione che esclude l'esistenza di un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile per evitare qualsiasi genere danno [cfr. Cass. Civ 3282/2020].

Da qui si evince l'importanza, per quest'ultimo, di operare una corretta compliance in materia di prevenzione di contagio da Covid-19, così che possano essere escluse eventuali responsabilità, sia civili che penali.

Il datore di lavoro, in ogni caso, non è tenuto a garantire un ambiente di lavoro a "rischio zero", neanche potendosi ragionevolmente pretendere l'adozione da parte sua di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l'integrità psico-fisica del lavoratore. 

[ « In tema di infortuni sul lavoro, va esclusa la responsabilità del datore di lavoro che, oltre ad avere fornito i necessari mezzi di protezione, ha impartito le opportune istruzioni sull'uso degli stessi ed esercitato una costante attività di vigilanza, laddove l'infortunio occorso sia addebitabile a una condotta del lavoratore imprevedibile ed esorbitante rispetto alle direttive impartite, sì da porsi quale causa esclusiva dell'evento. » Massima Cass. Civ. 3282/2020].

L'imprenditore pertanto dovrà adempiere con priorità massima agli obblighi di informazione e formazione ed alla attività di prevenzione, che spazia dalla misurazione della temperatura corporea dell'utente tramite termoscanner, fino alla tenuta del registro degli accessi aziendali. Fondamentale poi il mantenimento del distanziamento sociale sui luoghi di lavoro, anche attraverso interventi di deroga sull'orario o sui turni di lavoro, oltre che la messa a disposizione di materiale protettivo, quali mascherine, guanti, gel igienizzanti, ecc., il tutto con la necessaria sorveglianza del datore di lavoro circa l'effettiva adozione delle misure preventive da parte dei dipendenti.

Dott. Tommaso Scarabicchi 
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